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Al tuo servizio

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Quando insegniamo spesso ci rifacciamo a qualche metodologia che conosciamo, sia essa la lezione frontale, il lavoro collaborativo o la didattica capovolta. Altre volte la metodologia non ha un nome: vediamo qualcosa che per gli altri ha funzionato ed ha avuto successo e decidiamo di provarlo. Che manchi qualcosa?

In questi casi partiamo da un modello e lo applichiamo, dando per scontato che vada bene perché se ha funzionato altre volte, o per altri, non può che funzionare ancora. Ricordo diversi consigli di classe in cui qualche docente accusava una classe di essere particolarmente lavativa perché “ha 9 classi, spiega a tutte la stessa cosa e quella è l’unica che non capisca nulla. Non può essere che colpa loro!”. Se ci riflettiamo però siamo tutti diversi e quindi anche ogni classe è diversa. Se provassimo quindi a fare l’opposto? Se partissimo da una domanda invece che da una soluzione?

La domanda è molto semplice e si può utilizzare sempre, sia che si torni a casa scornati perché qualcosa è andato storto, sia che siamo felici perché invece è andato tutto bene: “Cosa posso fare adesso per loro?

Il bello è che la risposta non segue nessuna metodologia e nello stesso tempo sfrutta tutto quello che conosciamo! Potrebbe servire un’ora di riepilogo perché sembra si siano persi qualcosa, o un’ora di svago perché sono stati bravi e hanno dato del loro meglio. Potrebbe servire del materiale diverso perché hanno delle difficoltà a studiare. Potrebbe servire una verifica perché è importante che imparino delle nozioni o un compito autentico per lavorare sulle competenze. Potrebbero avere bisogno di maggior rigore e scadenze più ravvicinate per imparare un po’ di disciplina o di maggior tempo per sviluppare la loro fantasia e le loro intuizioni. Potrebbe anche venirci in mente qualcosa che non c’entra nulla con la nostra materia che però in quel momento ci sembra importante per loro. Potrebbero esserci cinque persone che devono recuperare e si potrebbe pensare a come fare in modo che gli altri gli diano una mano per aiutarsi gli uni con gli altri. Potrebbe servirgli un video di ripasso o un esercizio particolare per approfondire un argomento. O anche potremmo volere chiedere a loro se hanno voglia di imparare qualcosa in particolare.

La cosa interessante, e a volte un po’ magica e che immagino che anche a voi sia capitata più volte, è che nel momento in cui ci domandiamo qualcosa… da qualche parte arrivano le risposte. A volte sfogliamo un libro e scopriamo un esercizio che fa al caso nostro, leggiamo un post su internet che è proprio quello che fa per noi o semplicemente ci viene un’idea.

Così se creiamo le lezioni in base a quello può servirgli, le lezioni diventano più interessanti e personalizzate. Diverse da classe a classe e da docente a docente. Questo non implica dovere preparare per forza materiali diversi per ogni classe ma attingere in modo diverso a quello che abbiamo.

In più, insegnandogli che è importante andare incontro ai loro bisogni oltre che imparare conoscenze e competenze, gli trasmettiamo anche l’idea che il lavoro è un servizio. Un servizio per gli altri nel quale possiamo utilizzare tutte le nostre qualità, conoscenze, abilità, competenze e tutti gli spunti e le idee che ci vengono.

Insomma, ci vuole un po’ di coraggio per provare, ma quello che si ottiene è dinamico, divertente e ci permette di accompagnare tutte le classi ad imparare nella modalità che è più utile per loro. Solo un’avvertenza: nel momento in cui pensate che anche questa sia diventata una procedura, lasciate perdere il tutto e sperimentate qualcosa altro.

Il compito autentico

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Se sapete cosa è il compito autentico potete saltare questa prima parte introduttiva e passare alla seconda parte.

Per chi invece non sapesse di che si tratta parto da una definizione che mi sembra abbastanza completa: “Il compito autentico è un compito che prevede che gli studenti costruiscano il loro sapere in modo attivo ed in contesti reali e complessi e lo usano in modo preciso e pertinente, dimostrando il possesso di una determinata competenza”. In parole semplici: una normale attività della vita reale, ricca e splendida, in cui si utilizzano tutte le capacità acquisite e la creatività per risolvere un problema vero.

A scuola in genere le cose funzionano al contrario del compito autentico. Nella vita reale Thomas Edison, inventore della lampadina, ha provato 10000 volte a bruciare fili di tungsteno prima di scoprire come fare quello giusto. Poi una volta arrivato alla soluzione ha preso un pezzo di carta e ha scritto tutti i passi per arrivare costruirla. In classe si parte dal concetto di lampadina già esistente, si spiega di cosa si tratta e come funziona. Manca un po’ tutto quello che ha motivato Edison: il bisogno e l’intuizione che l’ha spinto a crederci anche dopo 10000 fallimenti, la soddisfazione di scoprire qualcosa e la possibilità di usare tutte le sue risorse per risolvere il problema.

Se nella vita reale quindi risolvere problemi veri è più interessante e dà più soddisfazione che non studiare a scuola, come posso rendere un compito che affido ai miei ragazzi il più autentico e interessante possibile?

Come realizzare un compito autentico

Il metodo proposto non vuole essere IL metodo ma solo un metodo per farlo. Ogni compito autentico è altamente personalizzato in quanto con le stesse premesse e con le stesse regole ognuno di noi realizzerà un compito diverso dagli altri e, anche se non sarà il migliore, sarà perfetto perché pensato e personalizzato in base alle nostre conoscenze e ai nostri studenti. Se volete potete anche “ispirarvi” a compiti realizzati da altre persone.

La ricetta per preparare il compito è molto semplice.

Ingredienti: Un argomento da trattare a vostra scelta, il kit delle competenze, word o un foglio di carta e Internet

Ricetta: Scrivi l’argomento in cima alla pagina e descrivi brevemente come lo spiegheresti normalmente. Poi apri il kit delle competenze e scegli una delle competenze o un elemento della motivazione che ti ispira.

Rileggi l’argomento scelto e leggi le domande relative alle competenze scelte. Ad esempio se tu avessi scelto “Competenza digitale” potresti domandarti “Si può utilizzare la tecnologia in modo creativo per imparare l’argomento scelto?”.

Pensaci qualche secondo in modo che ti venga in mente qualcosa. Quindi scrivilo sotto all’argomento.

Ripeti l’operazione con tutte le competenze e con tutte le domande sulla motivazione che desideri e modifica se ritieni opportuno anche quello scritto in precedenza in quanto potrebbe venirti una idea migliore.

Quando pensi di avere creato un bel compito rispondi alle domande nelle parti finali del kit delle competenze che riguardano che le tempistiche, le modalità di svolgimento e la valutazione per decidere come organizzarlo concretamente.

Infine lascia decantare per qualche minuto distraendoti e facendo altro e rileggi l’esercizio che hai pensato ponendoti la domanda finale: “Farei io questo compito?”

Buon divertimento!

Esempi e riferimenti:

La bellezza a scuola

Birth_of_Venus_detailCome ogni anno sta per arrivare il primo giorno di scuola e come ogni anno ci si prepara a scrivere il programma di quello che si farà nelle classi. Nel programma si parla di argomenti da studiare. Della metodologia utilizzata per spiegare. Del numero di verifiche e delle modalità di valutazione. Di quante ore di lezione ci saranno. Delle parti del libro che saranno studiate. E’ un elenco spesso noioso da scrivere e se lo facessimo leggere agli studenti prima dell’iscrizione probabilmente non cambierebbero scuola solo perché tutte le scuole fanno lo stesso. C’è poco insomma che faccia brillare gli occhi e faccia pensare: “Wow! Guarda quante belle cose imparerò quest’anno!”. Non è un peccato?

L’altro giorno guardavo SuperQuark e mi ha colpito l’introduzione perché gli argomenti sono presentati in modo ben diverso. “L’acqua è la molecola della vita, ma anche una delle risorse più critiche del pianeta. Ecco quanta ce n’è e come la usiamo” “In Francia sono state ristrutturate le più antiche grotte dipinte dall’uomo per dare a tutti la possibilità di vedere i capolavori dei nostri antenati” “Per i topi ed altri animali il metodo migliore per vivere più a lungo è mangiare di meno. E per l’uomo?”

Gli argomenti di SuperQuark sono proposti in modo interessante e invogliano a saperne di più. Catturano l’attenzione con interrogativi che coinvolgono tutti. Non si indica come sarà spiegato l’argomento, quanto durerà il servizio o chi ha filmato le riprese. In realtà anche le materie che spieghiamo tutti i giorni sono ricche di elementi interessanti perché tutte le invenzioni umane e tutti gli scritti sono nati da visioni e da idee. Ogni scrittore aveva qualcosa da raccontare e ogni scienziato qualche problema da risolvere. Ogni filosofo sentiva l’esigenza di descrivere e comprendere la realtà in cui viveva. Ogni artista di trascendere i limiti della realtà e anche lo studio delle lingue insegna modi diversi di comunicare e di interpretare la realtà.

Perché non aggiungere allora anche nei programmi scolastici qualcosa per ricordare il significato di quello che si studia? Invece di scrivere “Il futurismo e i principali interpreti” si potrebbe scrivere “l’esigenza delle persone di non rimanere troppo legati al passato ma di sperimentare e di provare: il futurismo”. La rivoluzione francese potrebbe diventare un modo in cui si mostra “l’esigenza di libertà del popolo e delle persone”. Un argomento di informatica “l’idea per automatizzare un processo per semplificare la vita di tutti”. Ogni cosa che è stata realizzata ha un suo motivo d’esistere.

Questo modo di presentare un argomento arricchisce inoltre il lavoro perché se l’obiettivo passa da “studiare tre opere di Marinetti” allo “scoprire l’esigenza di sperimentare e provare” allora si può dare spazio ad uno studente per trovare un’opera sconosciuta o poco letta del futurismo che per lui rappresenta anche meglio il concetto. Sia il docente che lo studente avrebbero qualcosa da imparare.

Così, solo con un programma che ci parla del valore e del perché delle cose, si studia il mondo partendo dai bisogni autentici delle persona. Si aiuta lo studente a scoprire la bellezza e la perfezione delle diverse materie invece che a subirle come elementi alieni pensati da persone che non avevano niente a che fare con lui. Si incentiva la crescita di persone più tolleranti e amorevoli nei confronti di tutte le diverse espressioni dell’opera dell’uomo.

Tornando alla realtà, probabilmente non c’è la possibilità di modificare veramente il programma scolastico, ma questo resta un bello spunto per presentare in modo diverso gli argomenti in classe.

La verifica si corregge da sola

“Ciao! Cosa farai in queste vacanze?”

“Vacanze… non farmici pensare! Mi hanno invitato a passare quattro giorni in montagna e tu sai quanto mi piace… però…”

“Però cosa?”

“La vedi questa pila? Ho 5 classi. 30 studenti per classe. 150 compiti da correggere. Dove vuoi che vada?”

Quante volte vi è capitato qualcosa di simile? Quante volte avete passato pomeriggi e mattinate a correggere compiti mentre avreste preferito fare qualcosa di più stimolante? L’obiettivo della correzione in sé è nobile: mostrare ai ragazzi i loro errori per aiutarli a migliorare. Spesso però a loro questo non interessa e gli basta sapere se il voto è sufficiente. Ore di lavoro finiscono per risolversi in uno sguardo affrettato. Un risultato un po’ umiliante se paragonato a tutto il tempo investito nella correzione.  Non sarebbe bello se le verifiche si correggessero da sole?

surprisedGli ingredienti sono semplici e la ricetta pure. Ve ne diamo un esempio, da cui prendere spunto, da modificare ed adattare a piacimento.

Prepara il compito come hai sempre fatto e presta attenzione al fatto che si possa svolgere in una quarantina di minuti invece che nella classica ora.  Contemporaneamente prepara anche un altro foglio con tutte le soluzioni degli esercizi.
Poi fai tante copie quanti sono gli studenti sia delle verifiche che delle soluzioni.

Quando consegni il testo del compito spiega la nuova modalità: avranno quaranta minuti di tempo per svolgere l’esercizio e poi un quarto d’ora per correggere un paio di verifiche a testa. Così, alla scadenza del tempo e come hai sempre fatto, raccogli tutti i compiti, poi dividi la classe in due parti e consegna ad una parte i compiti dell’altra insieme alle soluzioni in modo che li possano correggere. Chiedi che ognuno assegni il voto in base ad una scala che avrai preparato e che riporti tutte le correzioni sul compito in matita.

Risultato? Dopo un’ora avrai in mano tutte le verifiche della verifica corrette, al costo di esserti organizzato un po’ diversamente da quanto hai sempre fatto.

Vengono in mente altri vantaggi oltre al tempo guadagnato:

  • Si possono fare più verifiche durante l’anno,
  • Anche i ragazzi che non hanno studiato possono imparare dalla correzione,
  • I ragazzi imparano a correggere il lavoro degli altri,
  • I ragazzi accettano e capiscono la correzione visto che se la sono data loro,
  • Ci si risparmia per una settimana la solita domanda: “Prof, ha corretto i compiti?”.

Una variante, senza ridurre il tempo del compito, può essere quella di fare lo stesso il compito in un’ora e farglielo correggere l’ora successiva. A voi trovare il metodo che più vi piace in modo che, con minore fatica si possa ottenere un risultato migliore per tutti.

Che fare ora del tempo guadagnato? Spero non abbiate bisogno di aiuto per rispondere a questa domanda ma se proprio non sapete che fare avremmo un suggerimento: Leggete un bel libro che vi possa dare nuovi suggerimenti e ispirazione. Insomma, leggete un libro magico, di vostro gusto.

 

 

 

I BES, clamoroso insuccesso o opportunità?

Il Dio BES

Chi sono i ragazzi con Bisogni Educativi Speciali? Nella direttiva del 27 Dicembre 2012 si legge: “In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua” e si deduce che “l’area dello svantaggio scolastico è molto più ampia di quella riferibile esplicitamente alla presenza di deficit”.

Per “disturbi evolutivi” si intendono, oltre i disturbi specifici dell’apprendimento, anche i deficit del linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria, dell’attenzione e dell’iperattività, compreso il funzionamento intellettivo limite.

Tutte queste differenti problematiche non prevedono la figura dell’insegnante di sostegno, ma una “presa in carico” dell’alunno con BES da parte di ciascun docente curricolare e di tutto il team di docenti coinvolto.

Teoricamente è un’ottima direttiva, che definisce anche gli strumenti per “prendersi cura” al meglio di ogni alunno speciale. Prevede, infatti, l’istituzione dei CTS (Centri Territoriali per il Supporto), che annualmente dovrebbero definire i PAI (Piani Annuali di Intervento) e aiutare i docenti e le scuole a definire il PDP (Piano Didattico Personalizzato) studente per studente. Ma anche se si riuscisse a mettere in piedi tutta l’organizzazione, con tutta la formazione, la pianificazione, il tempo e soprattutto il denaro che la normativa richiederebbe per essere attuata, l’insegnante si sobbarcherebbe un immenso lavoro extra. Come segnala giustamente Giorgio Israel nel suo blog, l’insegnante dovrebbe diventare:

  • Un assistente sociale;
  • Un valutatore e diagnosta delle problematiche di apprendimento dei ragazzi;
  • Una persona in grado di insegnare in modo differenziato a tutte le varie tipologie di BES;
  • Il responsabile dei problemi dei ragazzi, che possono anche facilmente approfittarne;

E contemporaneamente dovrebbe trovare il tempo per personalizzare la didattica per tutti i suoi studenti con Bisogni Educativi Speciali e non, e per correggere e valutare in modo diverso i loro compiti. Una Caporetto.

Proviamo però a considerare ciò che c’è di buono nella direttiva, cioè il fatto che le difficoltà di apprendimento dei ragazzi sono una realtà, e non possono essere ignorate completamente, La valutazione autentica come ci suggerisce la simpatica vignetta a fianco. La personalizzazione e l’individuazione della didattica personalizzata non sono una novità. Le caratteristiche individuali, al di là di qualsiasi etichetta diagnostica e/o svantaggi socio culturali, dovrebbero essere un principio guida per la definizione della didattica, ma la teoria a volte mal si concilia con la pratica.

Einstein era dislessico e ha imparato a leggere a 9 anni, ma questo non gli ha impedito di essere uno dei più grandi scienziati di sempre. Per lui la soluzione è stata lasciare la scuola. Ma poiché noi crediamo nella scuola, (ci crediamo, vero?) e crediamo che la scuola possa dare molto ai ragazzi è ancora più importante fare un passo nella direzione dei nostri piccoli futuri Einstein, supportandoli nella crescita da un lato e dandogli tutti gli strumenti per essere dei cittadini responsabili dall’altro. Come fare?

La direttiva ministeriale aggiunge, inoltre, che “…è sempre più urgente adottare una didattica che sia ‘denominatore comune’ per tutti gli alunni e che non lasci indietro nessuno: una didattica inclusiva più che una didattica speciale”.

Con la consapevolezza che ogni ragazzo ha un suo modo d’essere, sarebbe quindi bello riuscire ad avvicinarci alla didattica inclusiva:

  • Fornendo del materiale didattico il più semplice possibile, fruibile senza problemi anche da chi ha difficoltà nella lettura;
  • Dedicando più tempo ai ragazzi, in modo da supportare chi ha più bisogno senza annoiare chi è più bravo;
  • Fornire dei compiti diversificati e più coinvolgenti per gli studenti più bravi;

Una metodologia che va nella direzione della soluzione di questi problemi, e che promette anche molto di più, è l’insegnamento capovolto. L’insegnamento capovolto, o Flipped Teaching, prevede di utilizzare dei video, che i ragazzi guarderanno a casa, per sostituire o comunque diminuire il tempo dedicato alle lezioni frontali. Prevede inoltre di utilizzare il maggior tempo a disposizione in classe per lavorare al loro fianco nella realizzazione dei compiti/progetti. Questa metodologia permette di soddisfare i punti precedenti perché:

  • I video possono integrare testo, immagini e audio e rappresentano lo strumento più semplice e coinvolgente possibile per tutti i ragazzi. I ragazzi con difficoltà potranno guardarli più volte;
  • La visione dei video con le lezioni a casa permette di liberare tempo a lezione per svolgere gli esercizi a fianco dei ragazzi;
  • I ragazzi più bravi e interessati saranno quasi autonomi ed avranno la possibilità di impegnarsi in compiti più complessi, o di dare il loro supporto per aiutare i ragazzi meno dotati;

Oltre a soddisfare i punti precedenti,  l’insegnamento capovolto può essere facilmente integrato con altre nuove metodologie di insegnamento come l’Inquiry Learning, il Problem Based Learnig, la didattica per competenze, ecc… per creare dei compiti più coinvolgenti e interessanti.

In conclusione la consapevolezza che esistano i disturbi di apprendimento, certificati o meno, è molto utile per essere più comprensivi con i ragazzi, o almeno per introdurre un ragionevole dubbio nel legame imperante tra fa fatica a leggere = non ha voglia di studiare. Inoltre possiamo servirci dell’insegnamento capovolto per fornire a tutti i ragazzi degli strumenti più semplici per imparare, e per avere a disposizione più tempo per farli esercitare e appassionare alla materia che ci piace insegnare.

Se non avete mai provato una lezione capovolta, dedicate un paio d’ore a prepararne una. Provate utilizzando le infinite risorse gratuite disponibili in rete, o ispirandovi a quello che hanno già fatto i docenti che stanno sperimentando il metodo in Italia nelle discipline di Chimica, Latino, Informatica e Inglese. I vostri ragazzi impareranno e si divertiranno e, cosa ancora più importante, vi divertirete anche voi!

Anna Pia Marsico & Fabio Biscaro

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La direttiva ministeriale completa – BES – Direttiva Ministeriale 27 12 2012

PS: Se qualcuno si domanda cosa sia l’immagine in alto a destra la risposta è: Il Dio Bes!

5 minuti per fare diventare la tua lezione indimenticabile

cervello

Vi è mai capitato che una lezione, nonostante tutto il vostro impegno per renderla interessante e coinvolgente, si sia rivelata poco efficace? E partecipando invece ad un convegno in veste di ascoltatore, vi è mai capitato di perdervi punti importanti nonostante tutto il vostro impegno a seguire?

Anche nel caso in cui lo studente presti sempre la massima attenzione, e questo è più un sogno che una realtà, può capitare che perda qualcosa. Magari per il semplice fatto che non sa che alcune cose sono importanti o perché si distrae un attimo. Il problema è che al termine dell’ora chi perde qualcosa non è nemmeno in grado di sapere cosa si è perso.

Come si può risolvere questo problema? Magari rendendo anche la lezione più interessante? E senza oberarsi di altro lavoro visto che tra le mille cose da fare c’è sempre poco tempo a disposizione?

Una semplice soluzione è consegnare ai ragazzi prima della lezione un foglio di domande dove ogni domanda è pensata perché la risposta sia uno dei punti chiave.

Perché domande e non un elenco di punti? Perché una domanda crea curiosità e un possibile spazio per la risposta, da ricercare nella vostra lezione. Paradossalmente poi potrebbero essere loro a stimolare, chiedendo di rispondere a tutte le domande indicate.

Facciamo un esempio. Se dovessimo spiegare questi argomenti: Basi di Internet, Sito Web, Browser e Motore di ricerca, potremmo consegnare ai ragazzi queste domande:

  • Come è nato e come è evoluto Internet nel tempo?
  • Cosa si intende per albero di un sito web? Cosa rappresentano le foglie?
  • Quali sono le funzionalità principali di un browser?
  • Come posso cercare un documento di word su Internet?

Per rispondere alle domande i ragazzi devono seguire la lezione e comprendere ciò di cui si sta parlando. La domanda, inoltre, crea curiosità e permette di contestualizzare subito.

In definitiva, fornire un elenco di domande la cui risposta rappresenta i punti chiave della lezione, da un lato fornisce una guida per la lezione, sia per il docente che per gli studenti, e dall’altro stimola la loro curiosità.

Una obiezione potrebbe essere: questo non impedisce che uno studente stia disattento e poi si faccia passare le domande. Vero.  D’altronde anche uno studente assente non seguirà la lezione e dovrà poi farsi passare le domande. Il problema non è risolvibile del tutto… a meno che non si utilizzi la lezione capovolta e poi si facciano lavorare individualmente i ragazzi sulle tematiche presentate.

Infine nel caso di ragazzi con difficoltà di apprendimento (BES), la lista di domande potrebbe rappresentare uno strumento molto utile per seguire la lezione.

Migliora il tuo modo di insegnare chiedendo un feedback

feedbackAmmetto che può essere terrificante scoprire cosa gli altri pensano di te.. Gli studenti in particolare. Finché non chiedi un feedback puoi pensare che tutto vada per il meglio, ma nel momento in cui chiedi: “Cosa pensi di….?”, possono venire fuori problematiche inaspettate che mettono ti un po’ in crisi. E quindi è molto difficile farlo.

Perché allora chiedere un feedback se si rischia di farsi del male? Per un sacco di ottimi motivi!

Perché il feedback è importante

I ragazzi saranno piacevolmente sorpresi dal tuo interessamento e, soprattutto se all’inizio il feedback sarà chiesto in modo anonimo, cominceranno ad aprirsi e ti daranno degli spunti che ti aiuteranno a capire quello che funziona e quello che non funziona.

Per esempio puoi scoprire che un determinato argomento che pensavi difficile è invece facile e che  un altro che ritenevi noioso stuzzica la loro curiosità e può essere approfondito. Qualcuno poi potrebbe portare nuove idee per rendere la lezione più appassionante e proficua anche traendo spunto dalle lezioni di qualche altro docente.

Inoltre, passato lo shock iniziale, sarà rilassante sapere quali sono i nostri punti di forza e di debolezza. Saranno per lo meno conosciuti e potrai farci qualcosa.
Le opinioni degli altri esistono comunque, anche se non sono espresse. In più una volta che sono espresse molto più difficilmente possono essere utilizzate come pettegolezzo quando meno ce l’aspettiamo.

Come chiedere un feedback

Chiedere un feedback è molto semplice. La tecnologia oggi ci dà un grande aiuto. E’ sufficiente ad esempio creare un questionario online con Google ed inviare a tutti i ragazzi il link alla pagina dove è pubblicato. I risultati arriveranno raccolti in una comoda tabella e potranno essere consultati con calma.

Cerca sempre di porre delle domande precise in modo da avere delle risposte altrettanto precise. Ad esempio, piuttosto che “Come ti sembra la lezione?”, puoi chiedere “Pensi che il materiale fornito sia sufficiente? Come pensi potrebbe essere migliorato?”. In ogni caso con il tempo anche i questionari saranno sempre più precisi nell’ottenere risposte più interessanti. Come sempre è più importante cominciare che sforzarsi di fare una cosa perfetta.

Conclusioni?

Chissà! Magari anche un solo questionario può ispirare altri docenti a chiedere feedback. Oltre a migliorare la didattica può insegnare ai ragazzi che hanno la possibilità di esprimere la loro opinione in libertà e che la loro opinione conta per migliorare le cose. Magari quando usciranno dalla scuola avranno imparato a chiedere a loro volta dei feedback per migliorare il proprio lavoro. Qualunque lavoro sia.

Ora la palla a voi: avete mai provato a chiedere dei feedback? Avete imparato qualcosa dall’esperienza? Inviatemi pure commenti e suggerimenti!

Allego un esempio di questionario assegnato ai ragazzi.Se provate anche a compilarlo a caso potete vedere come vengono mostrati i risultati. 

Allego inoltre un video simpatico che mostra come creare un questionario con Google Doc. Ora Google Doc si chiama Google Drive ma il funzionamento è molto simile.

Riferimenti: Learn by embracing the pain and asking for feedback